Biblioteca

La Giovardiana, istituita nel 1773, è stata la prima biblioteca di uso pubblico del Lazio meridionale.
Il nome lo si deve al suo fondatore, l’ecclesiastico Vittorio Giovardi, decano del tribunale della Segnatura apostolica, fin dagli anni giovanili appassionato letterato, storiografo e bibliofilo.

Giovardi nacque a Veroli l’11 agosto 1699 da una famiglia in cui erano tenute in grande considerazione le humanae litterae e lo studio della storia. All’età di dieci anni Vittorio Giovardi viene trasferito a Roma per frequentare il collegio Nazareno dove cresce a contatto con la cerchia di poeti ed eruditi dell’Arcadia, allora la principale accademia letteraria d’Italia. Fin dagli anni Venti del secolo XVIII, aveva cominciato ad elaborare una meticolosa e documentata storia della cittadina natale, la Historia Verularum, lavoro che poi avrebbe sviluppato in oltre sessanta anni di ricerche, soprattutto archivistiche.
Dottore in diritto civile e canonico, nel 1733 era stato ammesso nella Curia romana per svolgervi attività giudiziarie e amministrative, culminate nell’assunzione del decanato di segnatura nel 1759. In tutti questi anni studiò e giudicò un numero sbalorditivo di processi, molti di grande rilievo.
La sua posizione nella Curia lo aveva avvicinato a una cerchia culturale sempre più qualificata e, sin dagli anni Venti del Settecento, l’amicizia con Francesco Vettori, studioso di antichità, gli aveva svelato il mondo culturale fiorentino. In questi anni, oltre a fondi derivanti da eredità familiari, aveva cominciato ad acquistare materiale librario antico, codici medievali e rinascimentali, manoscritti moderni, incunaboli, rarità bibliografiche e un’imponente quantità di stampati funzionali ai suoi interessi di erudito e di giurista. Inoltre, le numerose amicizie nel mondo culturale romano gli avevano donato pubblicazioni soprattutto a contenuto storico e archeologico.
Intorno al 1766, Vittorio Giovardi aveva maturato l’intenzione di destinare la “copiosa raccolta di libri (…), fatta con grave dispendio nel corso di molti anni”, a favore del “publico bene e decoro della Patria”, donandola da vivo ad un ente ecclesiastico di Veroli. Fu attivo nei tribunali fino a pochi giorni dalla morte avvenuta a Roma il 27 aprile 1785.

L’istituzione della biblioteca

Vittorio Giovardi insieme al vescovo di Veroli, Giovanni Battista Jacobini, individuò la sede adatta della biblioteca nell’ala settentrionale del Seminario della città, al piano attico. Nel 1771, su decreto del vescovo e a spese di Giovardi, iniziarono i lavori di trasformazione dei locali su progetto di Nicola Fagioli, architetto romano di fiducia del Seminario. I lavori biblioteca e vennero dettate le regole fondamentali per il suo funzionamento: riassumendole in termini attuali, una biblioteca di conservazione, a scaffali chiusi e con documenti per sola consultazione interna. Il Papa Clemente XIV emanò una bolla per la quale chi avesse sottratto i libri o altri beni dalla biblioteca, anche per semplice prestito, sarebbe incorso nella scomunica.
Giovardi iniziò a trasferire da Roma il materiale bibliografico nella primavera 1773, ma le spedizioni continuarono per lungo tempo, come dimostrano alcuni documenti d’invio di libri durante il 1782. I volumi conferiti da Giovardi dovevano essere tra i novemila e i dodicimila, ma si aggiunsero subito quelli di alcuni enti ecclesiastici di Veroli (una precedente biblioteca seminarile e una raccolta libraria vescovile o capitolare) e da comunità della Compagnia di Gesù di Roma e dintorni.
La biblioteca così costituita ebbe inizialmente la denominazione di “Bibliotheca Seminarii Verulani”, ma – fin dallo stesso anno di fondazione – venne detta Giovardianaimpressero all’attico del Seminario la conformazione tipica della biblioteca italiana dell’epoca, di cui la Giovardiana è ancora oggi un esempio. Un vasto salone è destinato alla consultazione e alla conservazione dei libri a stampa, mentre un ambiente più piccolo è dedicato alla conservazione di manoscritti, beni archivistici, disegni, cartografie, incisioni e altri materiali. Anche la collocazione in un piano alto è caratteristica che accomuna la Giovardiana alle grandi biblioteche romane del periodo barocco.

L’atto pubblico d’istituzione della biblioteca risale al 20 gennaio 1773 e con questo documento Vittorio Giovardi fece formale donazione fra vivi “alla Città e per essa al Venerabile Seminario di Veroli”, cedendo così i propri “libri stampati e manoscritti, tutte le raccolte di stampe, di altri fogli stampati e manoscritti”. Contestualmente, su autorizzazione della S. Sede, il vescovo e i rappresentanti del Seminario vincolarono i locali da adibire a biblioteca e vennero dettate le regole fondamentali per il suo funzionamento: riassumendole in termini attuali, una biblioteca di conservazione, a scaffali chiusi e con documenti per sola consultazione interna. Il Papa Clemente XIV emanò una bolla per la quale chi avesse sottratto i libri o altri beni dalla biblioteca, anche per semplice prestito, sarebbe incorso nella scomunica.
Giovardi iniziò a trasferire da Roma il materiale bibliografico nella primavera 1773, ma le spedizioni continuarono per lungo tempo, come dimostrano alcuni documenti d’invio di libri durante il 1782. I volumi conferiti da Giovardi dovevano essere tra i novemila e i dodicimila, ma si aggiunsero subito quelli di alcuni enti ecclesiastici di Veroli (una precedente biblioteca seminarile e una raccolta libraria vescovile o capitolare) e da comunità della Compagnia di Gesù di Roma e dintorni.
La biblioteca così costituita ebbe inizialmente la denominazione di “Bibliotheca Seminarii Verulani”, ma – fin dallo stesso anno di fondazione – venne detta Giovardiana.

Scopri la biblioteca

La biblioteca conserva inalterato l’assetto dalla sua fondazione, sia nella struttura degli ambienti, sia nella sussistenza del patrimonio librario iniziale e rispecchia la conformazione tipica del Settecento romano. Sulle pareti della scala di accesso sono poste epigrafi antiche, come voleva all’epoca la “moda” di utilizzarle quale arredo di ambienti.

Sono di esempio il casino di villeggiatura a Frascati del cardinale Domenico Passionei e l’oratorio delle Cistercensi di Anagni di monsignor Giovanni Marangoni, archeologo e amico del Giovardi.